L’olio italiano e la cultura da spendere per il successo della sua immagine

News  09 Novembre 2016



Questo fine settimana, appena passato, ero a Pozzuoli ad assistere il concorso “ Miglior Sommelier d’Italia” dell’Aspi, l’Associazione della sommellerie professionale italiana, quale componente della giuria per la valutazione dell’attitudine generale dei tre sommelier finalisti.

Una fantastica avventura quella di seguire le numerose prove alle quali si sono sottoposti i concorrenti, alcune davvero impossibili come la degustazione di ben 12 distillati a ognuno dei quali dare un nome, descrivere i caratteri, indicare la provenienza e, persino,  l’annata di produzione. A proposito di distillato, il coordinatore della competizione che ha visto impegnati tre giovani bravissimi, Rudy Rinaldi, promotore dell’Aspi  Abruzzo e di quello del Molise e attuale presidente dell’Aspi Puglia, ha tenuto a sottolineare che la degustazione di un vino è ben diversa da quella di un distillato– per la prima  ci vuole più tempo che per la seconda –  per la diversità di contenuto alcolico.

A proposito della difficoltà delle prove il presidente dell’Aspi, Giuseppe Vaccarini, già presidente dell’Ais e, ancora giovanissimo, campione del mondo, ha tenuto a sottolineare che esse erano necessarie per poter esprimere al meglio una professione importante per il successo dei vini e delle bevande, la gestione e la fama di un ristorante. Essere bravi è il frutto di una passione, di un impegno costante e di tanto studio che serve anche per poter competere con altri sommelier a livello mondiale e far vivere all’Italia il gusto di una vittoria che accompagnerà il campione per tutta la vita.

Molto del successo di un locale è – lo possiamo solo ribadire –  nella bocca, nella mente, nel cuore e nelle mani di due protagonisti fondamentali, il cuoco in cucina e il sommelier in sala e in cantina.

I sommelier dell’Ais (1965) e, prim’ancora gli assaggiatori dell’Onav (1951), hanno accompagnato  e portato a far vivere, negli anni ’80,  una svolta al vino, contribuendo a dare al nettare divino un’immagine di qualità, che è tanta parte anche del successo che la cucina italiana vive nel mondo con la fama della Dieta Mediterranea e del made in Italy. Un ruolo importante quello del sommelier e dell’assaggiatore, che, dal 2008, si avvale anche del grande contributo dell’Aspi, nella formazione e  selezione di soggetti che fanno dell’assaggio la loro professione e, insieme, una scelta di vita.

E pensando al percorso del vino e alla possibilità che si ripeta anche per l’altro prodotto che più segna i diversi ed esaltanti territori del nostro Paese, l’olio, credo che sia necessario pensare – visto il ruolo dell’olio in cucina e la sua scelta per condire e accompagnare una pietanza, fondamentale anche per i possibili abbinamenti cibo-vino – a una formazione attenta, sia del cuoco che del personale in sala. Si sa per il vino, ma è una regola fondamentale anche per l’olio, che non esiste il vino, ma i vini, come non esiste l’olio ma gli oli. Una regola che ha bisogno, per essere rispettata, di grande professionalità e, anche, di passione per i nostri preziosi oli extravergine di oliva, che, pensate, si possono ottenere da oltre cinquecento varietà autoctone e dalle miscele di due o più varietà.

Un patrimonio, una ricchezza, un tesoro e tutto  grazie a questo nostro Paese, il più bello del mondo anche perché è quello che esprime più diversità, proprio grazie ai valori e alle risorse dei suoi differenti territori. Pensiamo alla diversità di paesaggi; alle diverse tradizioni così legate agli ottomila e più comuni sparsi tra le montagne, sulle cime delle colline, lungo la fascia litoranea, nelle poche grandi pianure come in quelle piccole, un po’ più numerose. Pensiamo anche alla storia e, meglio ancora, alle storie; ai differenti punti di vista di  tante culture di una grande cultura e abbiamo la miniera d’oro dove poter scavare il domani, il territorio.

La diversità, in particolare la biodiversità, che caratterizza anche e soprattutto l’olio, è l’elemento che vale la pena sfruttare per vincere sui mercati e per riportare dai mercati quel valore aggiunto necessario per rilanciare ed espandere l’olivicoltura, evitando così i rischi che oggi corre con gli oliveti superintensivi di marca spagnola, che, come virus, attaccano il patrimonio più prezioso che abbiamo, la biodiversità olivicola.

Ma la diversità o biodiversità olivicola, come del resto è stato per quella viticola, ha bisogno di essere preparata per essere presentata, riconosciuta per essere raccontata. In pratica,  ha bisogno di un forte sostegno culturale per affermarsi. Tutto questo è possibile (visto il risultato ottenuto dal vino) solo se nascono e si moltiplicano i capaci e bravi divulgatori di un prodotto che ha millenni di storia e tanta cultura da raccontare, soprattutto a chi l’olio lo conosce da poco o per la fama diffusa di essere un elemento fondamentale per un’alimentazione corretta e un amico certo della buona salute.

Fondamentale è il ruolo degli istituti alberghieri e, con essi, quello di associazioni come le tre che ho già citato e riporto in ordine alfabetico, AisAspi e Onav, che meritano ogni applauso per quello che hanno fatto, stanno facendo e faranno per l’immagine del territorio e di due suoi testimoni, i più preziosi.

Le tre associazioni che mi vedono loro socio onorario e ciò grazie alla fortuna di aver guidato l’Enoteca Italiana di Siena, da oltre cinquant’anni l’Università del vino italiano e dei suoi territori. Grazie amici.

Pasquale Di Lena
fondatore e presidente onorario delle Città dell’Olio