E’ tempo di cambiare

Il Punto  09 Aprile 2018



L’aumento di quattro volte, nel corso di mezzo secolo, dell’estrazione di materie prime dall’ambiente, 88,6 miliardi di tonnellate di fronte ai 22 miliardi di tonnellate del 1970, con ben 19 milioni di morti premature l’anno. Se non si rispettano gli impegni presi a Parigi dalla quasi totalità dei governi di tutti i paesi del mondo, ci sarà un aumento crescente delle temperature, con i relativi processi di desertificazione, con l’Italia che vedrà 1/5 della sua superficie agricola colpita. Sempre l’Italia paga il prezzo più alto con la perdita del 33% della superficie agricola totale per colpa dell’erosione del suolo, che riguarda anche l’Europa per 12 milioni di ettari, pari al 7,2% del totale dei terreni agricoli. Per non parlare dell’Amazzonia, degli Oceani sempre più acidi; dell’accesso all’acqua, in particolare di quella potabile; della salute; del bisogno di cibo e, nel contempo, del suo spreco. Una serie di prove concrete di pericoli per la Terra e la biodiversità, per la fertilità dei terreni, per i volumi e la qualità delle produzioni agricole, proprio quando continua l’aumento della popolazione e c’è sempre più bisogno di cibo.

L’uomo deve fare tutto quanto è possibile per cambiare la situazione, capire le abitudini sbagliate e credere che si è ancora in tempo a interrompere, modificare un cammino che sta portando tutti verso il baratro.

Sapere che c’è bisogno di una cultura nuova in grado di seguire e interpretare i mutamenti in atto, di uscire dallo stato di isolamento di ognuno per tornare a vivere con gli altri la realtà e, insieme, partecipare, sognare, amare. Bisogno di strumenti, anche nuovi, capaci di rilanciare e sostenere questa partecipazione alle scelte.

Sono i dati, i processi in atto, gli allarmi degli scienziati a far pensare che siamo  prossimi al punto di non ritorno se non si rispettano i patti sottoscritti a Parigi sui cambiamenti climatici, e che, non so quando, questo mondo finirà se non si mettono in atto politiche, scelte che danno davvero il segno di un’inversione di tendenza che lascia intravedere, lungo il percorso nuovo tracciato, diversi traguardi e tutti importanti.

Scelte prioritarie per credere e far credere che è possibile invertire la rotta, cambiare direzione e evitare il baratro, e, insieme, lavorare per realizzare il sogno di uno sviluppo diverso, sinonimo di salute e di un altro tipo di benessere, quello che porta a sentire di nuovo e più vicino il profumo della felicità.

Il mondo, in particolar modo l’Italia, ha bisogno dei suoi territori e di sostenibilità, di pace, terreni fertili, di cibo sano e paesaggi belli. Ha bisogno di pane, nel suo significato di essenzialità; olio di oliva, quale armonia di sapori, continuità; vino, quale convivialità, piacere. Il mondo ha bisogno di consumare questi ed altri beni che ogni territorio dà, ma, anche, di produrli in modo diverso.

Se è vero questo, ci sono le opportunità offerte dallo sviluppo di bio distretti, un processo all’insegna della sostenibilità di interi territori, più o meno estesi, che vede tutti gli attori, pubblici e privati, protagonisti delle scelte e delle strategie che servono a spendere e valorizzare le risorse proprie e non a nasconderle o abbandonarle, distruggerle.

Non più politiche settoriali, spesso competitive fra loro, bisognose di compromessi, ma una politica per ogni singolo territorio, quale solo e unico contenitore di valori e di risorse, origine della qualità ed espressione della biodiversità. Il modo migliore per capire tutte le sinergie possibili, umane e naturali, che necessitano per avviare e far crescere uno sviluppo diverso, a misura dell’uomo e della natura, non contro.

Un modo per rendere più chiara e più fattibile la programmazione, e, con  la messa a punto di progetti  adeguati, cogliere gli obiettivi prefissati, quali la valorizzazione dei beni del territorio, non solo il cibo espresso dall’agricoltura, ma, anche, l’arte e la cultura; la storia e le tradizioni, l’insieme dei valori che esprimono la nostra identità.

Bio distretti per affrontare meglio il cambiamento climatico, sapendo che le colture bio hanno, di fronte anche a situazioni di siccità gravi, la possibilità di produrre di più e meglio grazie alla maggiore capacità del suolo di trattenere l’acqua. Un territorio, quello bio, che ha la possibilità di ridare vita alla vita che l’agricoltura convenzionale e, in modo particolare, quella industrializzata, ha ridotto a poca cosa con l’uso esagerato ed esasperato della chimica.

E, sempre nel segno della discontinuità, la possibilità di una ricollocazione dei mercati, necessaria per ritessere il rapporto produttore- consumatore e renderlo dialogo, fiducia, amicizia, consapevolezza della preziosità del territorio con la sua storia e la sua cultura; le sue tradizioni, quelle legate all’alimentazione, in particolare; la sua agricoltura, fatta di rotazioni e avvicendamenti, esperienza e saperi, e, anche e soprattutto, fonte di paesaggi e di bellezza , oltre che di bontà.

Il glocale, con la sua capacità di aprire al dialogo e di sviluppare sinergie importanti, ha tutto per combattere e vincere contro il globale, il grande mercato nelle mani delle multinazionali che vogliono piena liberalizzazione e privatizzazione, a scapito delle sovranità nazionali e delle identità dei popoli.

Il glocale quale grande ricchezza da distribuire tra chi lo vive, lo anima, lo coltiva, lo cura, ne sente i profumi, lo gusta e lo mette a disposizione di quanti hanno bisogno o voglia di bontà e di bellezza, di diversità.

Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio – Presidente onorario