L’Oliveto biologico, uno strumento formidabile per combattere i cambiamenti climatici

Il Punto  09 Settembre 2019



Una bella notizia, già da me commentata, arrivata dall’Università di Cordoba (Spagna) per affermare, con i risultati di una ricerca, questo significativo risultato nel tempo del clima, sempre più impazzito; della Xilella; dell’agricoltura industrializzata; della Madre Terra ferita da uno sviluppo  economico fallito, con una crisi che la finanza, le multinazionali, i poteri forti, in pratica il neoliberismo, vuol far pagare ai più deboli, ai più poveri.

Se l’oliveto biologico riesce ad abbattere il 25% delle emissioni globali delle attività agricole e zootecniche, anche altre coltivazioni, sempre biologiche, sono – secondo lo studio dell’Università di Cordoba – protagoniste, in percentuali diverse, di questo abbattimento per ogni  chilo di prodotto:  cereali invernali (42%); prodotti subtropicali (40%) e agrumi (60%).

Non solo, le buone pratiche del biologico contribuiscono alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso l’eliminazione della chimica e la buona pratica della pacciamatura; la reintegrazione della massa vegetale prodotta con le potature; la ridotta lavorazione del terreno; l’uso di energie rinnovabili e, quello che è fondamentale per l’Italia, l’uso delle varietà autoctone. Cioè l’uso del più ricco patrimonio (592) di biodiversità olivicola al mondo. Una ricchezza che, messa nelle mani di sprovveduti schiavi delle multinazionali spagnole in campo olivicolo, è stata barattata, solo per vil denaro, con gli oliveti superintensivi promossi e realizzati in tante parti del nostro Paese, quello  del vino e dell’olio.

I dati da me sopra commentati sono stati ripresi da Olimerca, una news letter che arriva sul mio computer dalla Spagna, e dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno,  la sacralità dell’olivo e la sua fama  sempre, nella mitologia come nella storia dei popoli mediterranei. 

Una pianta testimone di bellezza con i suoi paesaggi di eterno verde carico, salvo nei giorni in cui si fa amico il vento, quando si apre all’argento; testimone con il suo prezioso  olio, di bontà e di salute, non a caso, filo conduttore della Dieta Mediterranea, patrimonio culturale dell’Umanità e, oggi, prima delle 61 tradizioni culinarie più conosciute al mondo. 

Ogni giorno una scoperta dei valori e delle risorse dell’olivo e dell’olio, che sono le espressioni proprie di quella ruralità che ha dato tanto all’immagine che il nostro Paese vive nel mondo. Una ruralità che molto ancora può dare se una classe politica e dirigente, finora serva del  sistema, viene illuminata e, così, riesce a capire che la risorsa prima dei nostri territori è l’agricoltura, quella contadina, la sola che può gestire, salvaguardare, promuovere e valorizzare, le nostre colline e le abbandonate aree interne. La sola che può, riallacciare, con l’innesto delle innovazioni, il rapporto con la tradizione, far vivere il biologico  e le buone pratiche che servono per produrre quella qualità che è  propria del territorio (la qualità è nell’origine). E, insieme, quella diversità che rende un prodotto, con il suo territorio, unico, e, come tale, il protagonista di quel glocale, il solo in grado, in quanto a qualità e diversità,  di sconfiggere il globale, che è quantità e uniformità.

In questa fase il biologico è la grande opportunità per un territorio che deve sviluppare e vivere la sua sostenibilità. La prima delle innovazioni che riporta a riallacciare il percorso con il passato perché colga il presente e programmi il futuro.  Discorso non facile in un Paese che ha mostrato tutt’i suoi limiti nelle mani – dicevo – di una classe dirigente e politica inadeguata, capace di arraffare e, in mancanza di sogni, incapace di programmare e progettare il domani. 

Serve ed è urgente cambiare se si vuole dare ai nostri giovani una speranza per il proprio domani. Serve ed è urgente avere: la salvaguardia e tutela del territorio e della sua ruralità; il rilancio dell’agricoltura con i nostri preziosi olivi, le preziose viti, i nostri semi, i fantastici agrumi e altro, tanto altro ancora;  l’attenzione delle istituzioni per il biologico e le pratiche naturali che riducono l’impronta di carbonio; l’utilizzo del denaro pubblico per produrre beni pubblici e, comunque, per finanziare prioritariamente chi lavora e collabora per vivere e far vivere un nuovo domani. 

Serve ed è urgente far capire alle istituzioni locali, soprattutto a quelle che hanno come loro prima risorsa l’agricoltura, di far vivere  il territorio  con idee nuove che guardano al futuro e non con quelle che hanno mostrato il fallimento del sistema e la necessità di liberarsene con una svolta; di dialogare con un mondo, quello contadino,  ancora ricco di valori e di accompagnarlo nelle scelte, in primo luogo quella del biologico che vuol dire un’agricoltura del passato che guarda lontano.

Serve ed è urgente far capire alle stesse organizzazioni dei produttori, negli ultimi anni distratti da ruoli poco utili al mondo contadino, nel momento in cui si sono adeguate al sistema per raccattare le briciole e, in mancanza di una politica agricola, portare alla disperazione (60 le aziende agricole che ogni giorno chiudono i Italia) i coltivatori o agricoltori che dir si voglia.

Serve ed è urgente far capire alle istituzioni regionali, soprattutto quelle meridionali, che i soldi sono utili se spesi per  esaltare i valori e le risorse del territorio e non per sotterrarle definitivamente con le grandi opere fatte di cemento ed asfalto.

Basta camminare con la testa rivolta all’indietro! C’è da guardare avanti, al domani da organizzare e promuovere, come l’olivo, con il suo olio, che ogni giorno insegna  a tutti di fare e fare bene, soprattutto agli altri.

 

Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio – Presidente onorario