“Il giorno della terra” compie 50 anni

Il Punto  22 Aprile 2020



Un giorno importante e di grande attualità nell’era del covid19, visto che esso è, purtroppo, il segno della stanchezza di questa nostra grande madre, maltrattata dal sistema della finanza, quello predatorio e distruttivo, il neoliberismo, che ritiene la terra infinita e non limitata nelle sue risorse. Ripropongo questa mia considerazione pubblicata da Teatro Naturale qualche giorno nel 2017. Sto pensando a Papa Francesco e alla sua “LaudatoSì”, che ha tanto preoccupato il sistema per aver colto nel segno.

Leggo su un settimanale on line la presentazione di un libro, Manifesto per la terra e per l’uomo, appena uscito e che si può trovare in libreria al prezzo di 15 euro. Un libro scritto da un contadino di origine algerina, Pierre Rabhi, che parla di buone pratiche agricole, cioè di gesti importanti, anche piccoli, utili alla salvaguardia del pianeta.

Rabhi vive nell’Ardèche, il dipartimento della Regione del Rodano-Alpi, dove l’agricoltura è prevalente con le sue coltivazioni soprattutto arboree, vigneti, frutti e castagne e dove egli ha vissuto e sviluppato le sue esperienze di agricoltore improntate sulle buone pratiche agricole e nel rispetto dell’ambiente e della natura.

Senza questo rispetto – personalmente ne sono fermamente convinto, e non da ora – non c’è futuro per nessuno.

Buone pratiche agricole, come quelle di un tempo non lontano: zero pesticidi, zero fertilizzanti, gestione attenta e parsimoniosa di quel bene incommensurabile che è l’acqua. Un bene più prezioso di fronte alla scarsità che gli esperti paventano a causa dell’incalzare di un clima che diventa sempre più caldo.

Una situazione preannunciataci da inequivocabili segnali, per la quale bisognava prepararsi da tempo e la cui gravità può essere affrontata solo con interventi immediati e forti praticabili solo se c’e consapevolezza comune. Dei coltivatori, delle multinazionali dei pesticidi, dei fertilizzanti e degli Ogm, nonché delle politiche del mercato che, così come sono oggi, affamano i produttori e ingrassano i distributori, oggi organizzati in super e ipermercati.

Rabhi, conosciuto anche come “il poeta della terra”, non si è lasciato condizionare né da queste multinazionali né da quanti, consciamente o inconsciamente, vivono con esse una permanente complicità, sapendo bene che il primo complice sarebbe diventato lui nel seguire i dettami di questi nuovi superpadroni, ben supportati da tecnici che, seppur bravi, accettano di trasformarsi in piazzisti di prodotti di questa o quella multinazionale.

Un limite e, forse, una colpa – che sento di rivolgere anche al mondo contadino. Un mondo che continuo ad amare profondamente e per il quale ho speso tanta parte della mia vita.

Rabhi, il contadino di origine algerino, sa che la terra ha bisogno di cure e che il processo che il sistema ha innestato non porta a far star bene il pianeta ammalato ma ad aggravarne la malattia. Oltretutto con la nuova organizzazione del mercato e, soprattutto, la sua globalizzazione, a impoverirlo fino a renderlo nuovo servo della gleba.

In pratica – lo dimostrano i fatti – più produci quantità e più fai il gioco di chi ti compra con i suoi prodotti e ti rende ogni giorno più povero.

Tornare alle buone pratiche agricole ed ai tempi non lontani di quando si mangiava e si era padroni della propria terra e del proprio destino e, così, riuscire a coinvolgere il mondo contadino a mettere da parte i super trattori e i superaratri ed a svuotare i magazzini di concimi ed antiparassitari, vuol dire far saltare il banco, il sistema. Vuol dire riportare al centro un mondo e una pratica economica fondamentale, non solo per salvare il pianeta ma, soprattutto, per dare basi solide a un nuovo domani che non può che essere sostenibile.

Basta riportarsi a 50 anni fa per capire quello che sto dicendo. A quando il seme era nelle mani dei coltivatori; il coltivatore applicava l’avvicendamento e la rotazione; il concime era la sostanza organica e il “cavallo vapore” erano il bue, l’asino o il cavallo. Questo, non per tornare indietro nel tempo, ma per capire bene il significato dei bisogni, il senso della libertà, il valore della sobrietà e dell’autonomia dalle banche e dalla finanza, che oggi manca e porta ad abbandonare la terra.

Per capire come dalla mancanza di acqua si è passati allo spreco, con campi di finocchio o di verdure inzuppati dalla non consapevolezza del valore di questo bene vitale, che non sono più sopportabili da vedere.

Ciò spiega che ci sono abitudini, culture, da rivisitare e mettere in discussione per dare il proprio contributo a riportare in primo piano l’agricoltura e, nel contempo, ritornare ad essere protagonista – con piccoli gesti e buone pratiche agronomiche – di quei percorsi nuovi di cui ha bisogno il pianeta, il territorio, il mondo della produzione e della trasformazione. Al loro fianco è chiamato a schierarsi il cittadino consumatore al quale, attraverso le scelte di acquisto, è assegnato un compito fondamentale di sostegno ad un percorso cosciente e responsabile.

 

Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio 

 

FONTE: TEATRO NATURALE