Non ha senso un oggi che non apre al domani

Il Punto  06 Giugno 2020



Ho letto la notizia “Monini si converte al modello superintensivo spagnolo”, pubblicata su TN il 27 u.s. con un commento molto pacato del Direttore del settimanale, che condivido.  Un “bosco” composto da un milione di olivi! Millenni di storia che vengono imbrattati da una sola motivazione, il dio denaro. Un patrimonio di biodiversità, unico al mondo, che viene azzerato da tre varietà spagnole.  Un territorio di vigne e olivi, orti e seminativi che verrà maltrattato da una coltivazione intensiva, una monocultura che durerà poco più di quattro lustri.  E, ciò che è peggio,  quando non produrrà più e verrà spiantata lascerà solo  – è la Fao a dirlo parlando di colture intensive– disastri in quanto a fertilità del suolo, inquinamento delle falde freatiche, paesaggio, concorrenza sleale  e perdita di identità per i restanti territori olivicoli dell’intero  Paese.  Altro che sostenibilità, come ci tiene a sottolineare l’azienda Monini, approfittando del fatto che l’olivo è l’albero che, più di ogni altro ha dimostrato di essere un amico sincero e leale del clima. Un amico in grado di aiutarlo a superare la grave crisi  che sta vivendo per colpa di un sistema che cerca di arraffare tutto subito senza pensare al domani.  Il sistema che azzera il tempo, sprecandolo, e, azzera il territorio, distruggendolo.   Tutto questo mentre nella patria del superintensivo e delle tre varietà del “bosco” Monini, la Spagna, ultimamente ha avuto un forte ripensamento su questo modo di coltivare l’olivo! Una notizia che arriva in questa fase 2 del Coronavirus, quando abbiamo scoperto la nostra fragilità e lo squilibrio che abbiamo creato fra noi e la natura. Quando la sola voglia che uno ha è quella di tornare a vivere il tempo, respirare il  domani, continuare a sognare e a dire basta con la normalità che ci è stata imposta prima della pandemia. Un domani che, comunque,  il virus ci ha già condizionato e ci condizionerà ancora per lungo tempo. Una notizia – certo non riguarda solo la Monini –  che ti fa imprecare al non senso  e fa bestemmiare anche uno come me che odia la bestemmia. La cultura neoliberista , caratterizzata dallo spreco enorme di risorse per l’indole propria di un sistema predatorio e distruttivo, torna in questa scelta dell’intensivo e super intensivo, e mi fa dire che è il denaro il padre legittimo del  Coronavirus.  Ed ecco che il denaro torna a dettare legge più di prima, facendo credere che il coronavirus è solo un brutto sogno che si è trasformato in un incubo per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, non solo italiana. Un incubo come a non dover raccontare  paure, disagi, vuoti di programmazione, e, peggio ancora, tragedie, con migliaia di morti che non hanno avuto neanche la consolazione, per il nuovo lungo viaggio, di essere salutati.  La scelta di una coltivazione e, peggio ancora, di un allevamento intensivo, nell’era in cui la finanza aveva ed ha nelle proprie mani la politica, giustifica la distruzione della biodiversità,  del territorio, della continuità con il passato; la fine delle grandi foreste. In pratica, le azioni di maggiore accanimento contro il clima, la natura, e, così,  il rischio del ripetersi di altre pandemie. Un “bosco”, quando sono migliaia gli ettari di olivi trasformati in bosco per l’abbandono di fette importanti di agricoltura e di territorio, grazie, appunto, alle scelte di chi guarda alla quantità a scapito della qualità; al profitto per il profitto! “Un bosco per la sostenibilità” è pubblicità ingannevole ed è pura ipocrisia, visto che se, da una parte,  usa gli olivi per captare CO2, dall’altra utilizza il milione di olivi per arrecare disastri enormi all’ambiente. Il problema non è solo Monini o chi per lui che fa una scelta, ma dei governi asserviti al neoliberismo che glielo permettono, contro i principi della nostra Costituzione. Proviamo a pensare cosa succederà al futuro dell’olivicoltura italiana con la sua diffusione preminente collinare; piccole estensioni e nelle mani di bravi olivicoltori; un primato mondiale che detiene in fatto di biodiversità olivicola, visto il patrimonio di oltre 550 varietà autoctone; la fama della qualità e della diversità, i due valori vincenti sul mercato globale. Una concorrenza sleale che apre a nuovi abbandoni: In pratica a nuovi “boschi”, utili per la sostenibilità, ma non per avere un reddito e mantenere in piedi un’azienda, anche se piccola. La scelta dei “Monini” nostrani è pensare come arraffare tutto e subito fregandosene del domani. L’oggi, come il coronavirus ci ha insegnato e continua a farlo, non ha senso senza il passato e, ancor più, senza un possibile domani.

Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio 

PUBBLICATO DA TEATRO NATURALE