Puntare sul biologico per rilanciare l’agricoltura

Il Punto  13 Ottobre 2020



Si parlerà sempre più di agroecologia e di agricoltura di precisazione e ci sarà un’alleanza tra queste due attività dopo il fallimento totale della rivoluzione verde e dell’agricoltura convenzionale, tutta basata sull’uso sconsiderato dei prodotti chimici e di medicinali, sulla pratica delle lavorazioni profonde.

Quello che lascia questo tipo di agricoltura, all’insegna della quantità a ogni costo, sono solo disastri, se uno pensa alla riduzione – quando non azzeramento – della fertilità dei suoli, letteralmente violentati; alla perdita di biodiversità, sia vegetale sia animale, basti pensare al rischio che stanno correndo insetti pronubi, così preziosi per la continuità della vita, in particolare le preziose api; all’uso sproporzionato di acqua e, cosa ancora peggiore, alla riduzione della potabilità della stessa per il crescente stato di inquinamento delle falde acquifere; all’abbandono dell’agricoltura e, con essa, delle aree interne, dei piccoli comuni, di territori importanti che, una volta abbandonati, diventano frane, cioè problemi anche per i territori più fortunati, spreco enorme di risorse e di denaro.

E, ancora, alla non qualità del cibo e conseguente sua omologazione, e, come tale, al suo non essere più alimento sano, ma cibo spazzatura. In pratica la causa di tante malattie, obesità soprattutto, che intasano gli ospedali di pazienti, in gran numero bambini, ragazzi, giovani, che vengono così privati del gusto della corsa, del gioco, del domani.

E, infine, se uno pensa alla questione delle questioni, il clima, con i suoi cambiamenti che lo rendono sempre più malato e ostile alla vita, anche grazie all’incidenza, subito dopo le energie ricavate da fossili, dell’agricoltura convenzionale e degli allevamenti intensivi.

Si sa che un’agricoltura che rimette al centro l’uomo e i suoi animali, la fertilità del suolo, e, con essa, la necessità urgente di una salvaguardia, tutela e valorizzazione del territorio, diventa, con l’offerta della qualità e della diversità, una fonte di benessere e di salute, e non solo, anche uno straordinario medicamento per il clima, nel momento in cui con la cattura di Co2 riduce l’effetto serra.

Per l’affermazione di un’agricoltura biologica serve, innanzitutto, ridare subito voce a un mondo contadino, per lungo tempo, e tutt’ora, vittima e complice insieme di un processo che ha visto solo abbandono, soprattutto nelle aree interne del Paese. Un mondo che ha bisogno di essere considerato dalla cultura e dalla politica, e non solo, di essere coinvolto dalle istituzioni locali, soprattutto là dove è la parte più rappresentativa di una realtà locale; di tecnici e non di venditori, e, come tale, di una formazione libera, ai vari livelli, dai condizionamenti delle multinazionali; di organizzazioni capaci di difendere i diritti e gli interessi veri dei coltivatori, in primo luogo il loro reddito.

Il fermo prodotto dalla pandemia ha riportato al centro della casa la tavola ridando, così, voce al cibo e alla convivialità. La grande paura ha rimesso in campo l’importanza della salute e, con essa, quella della sanità pubblica e della buona alimentazione. L’Unione europea è, con l’impegno preso di mettere le basi per una nuova strategia bio, l’istituzione che ha saputo cogliere, prima e meglio di altre, il messaggio che si è diffuso durante il periodo del fermo.

È il biologico, non solo la premessa necessaria per un territorio ecosostenibile, ma quello che offre opportunità economiche agli agricoltori, salute all’ambiente ed al consumatore ed è, anche, la sola possibilità di un nuovo tipo di sviluppo che ritrova nell’agricoltura il perno per girare, e farlo nel verso giusto, con il pensiero per il domani.

Si pensi ai mille e mille territori di questa nostra Italia, rappresentati tutti da testimoni eccellenti quali sono i 521 vini (Docg, Doc e Igt), le 304 Dop, Igp e Stg, e i quasi 5mila prodotti tipici legati alla tradizione da almeno 25 anni, e, ai rischi che l’agricoltura corre ogni giorno con le scelte poco attente di chi amministra questi territori ai vari livelli (Comune, Regione, Stato). Scelte che contraddicono con la scelta del biologico e della sostenibilità.

La realizzazione di un’agricoltura biologica è una straordinaria rivoluzione, che richiede impegno culturale, politico, amministrativo, però prioritario e non a tempo perso; coerenza nelle scelte e voglia di lottare, per il semplice fatto che è la realizzazione di un sogno. Un sogno speciale qual è quello che ridà al territorio la sua vocazione più naturale, cioè produrre cibo sano e di qualità, aria pulita, acqua potabile al posto del cemento e dell’asfalto.

Una vocazione naturale fondamentale per il rilancio – con l’agricoltura e le attività a esse collegate (ricerca, artigianato, scambi, immagine, comunicazione, turismo) – dell’occupazione. Il lavoro – questo sconosciuto nel tempo in cui il potere è nelle mani della finanza e non della politica – torna, così, a essere il filo che tesse la tela di una società più equa, più solidale, più giusta, e tutto all’insegna della sobrietà.

 

Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio – Presidente onorario

Articolo pubblicato da ITALIA A TAVOLA