L’agricoltura nelle mani dei giovani per il domani del cibo

Il Punto  03 Ottobre 2022



È passato qualche giorno dall’apertura, questo fine Settembre, del frantoio della “Cooperativa olearia larinese”, dando così il via alla campagna olearia 2022-2023, che un tempo qui a Larino – la culla delle Città dell’olio – iniziava subito dopo la chiusura (12/13) della ultra centenaria Fiera di Ottobre. Un’annata segnata dalla siccità prolungata, e, negli ultimi giorni, venti forti che hanno anticipato una buona parte del raccolto. Al clima sempre più malato – colpa di un “progresso” segnato da un consumismo esasperato, frutto del neoliberismo imperante– è da aggiungere la difficoltà di trovare raccoglitori e, nei frantoi, operatori. Un tipo di sviluppo che ha penalizzato – continua a farlo – fortemente l’agricoltura, una volta cancellata la sua centralità e considerato non più settore primario. Con l’agricoltura, le aree interne e più marginali con lo spopolamento e la fuga nella direzione di aree sviluppate e grandi città. Una fuga che ha coinvolto soprattutto i giovani, anche se i numeri – “Rapporto giovani agroalimentare e territorio” di Ismea e Istat, presentato pochi giorni fa a “Terra Madre”, il grande incontro di Slow Food con il cibo e i suoi protagonisti – parlano di una crescita, negli ultimi 5 anni, dello 0,4% all’anno delle aziende condotte da giovani. E’ pur vero, stando ai dati del Registro delle imprese, che, ogni giorno, dal 2017 a oggi, sono nate 21 nuove aziende agricole per mano di giovani fino a 35 anni di età, mentre 5 hanno chiuso i battenti, rendendo il saldo attivo per oltre 6.000 aziende. Poca cosa, per la verità, e lo stato di abbandono – nello stesso periodo la riduzione di aziende agricole pari allo 0,7% all’anno – sta a dimostrarlo. La dimostrazione che, per invogliare i giovani a fare agricoltura, c’è bisogno di riportare al centro dello sviluppo questo settore, oggi, ancor più di ieri, primario. soprattutto perché fonte di cibo, cioè dell’energia rinnovabile, la sola vitale per l’uomo. E non solo, fonte fondamentale di biodiversità, ovvero vita. Due verità sconosciute da ricercatori e scienziati al servizio di multinazionali, se è vero che, per nutrire l’umanità, stanno lavorando per la produzione di un cibo artificiale o una pillola che mette insieme colazione, pranzo, merenda e cena. Solo una delle tante dimostrazioni della follia del sistema, che ha già sacrificato milioni di chilometri quadrati di terreno fertile al cemento e asfalto, e continua a farlo sulla pelle dei giovani che vogliono, e possono, impegnarsi in agricoltura e, così, diventare i tutori del territorio, il solo tesoro che abbiamo. Soprattutto quello delle aree interne, che, con l’abbandono e il dissesto idrogeologico, sono non più una risorsa, ma un pericolo – la recente alluvione nelle Marche lo dimostra – per le aree a valle, soprattutto di quelle del litorale. Viceversa, con l’attività agricola all’insegna della sostenibilità, la biologica in particolare, possono tornare ad essere una fonte di benessere e di tranquillità, con cibo di qualità, bellezza di paesaggi, aria pulita, acqua potabile, nonché valori delle tradizioni, della storia e della cultura in esse espresse.

C’è solo bisogno di informare, formare e assistere i giovani, possibili imprenditori e lavoratori agricoli. Le priorità per attirare l’interesse; trasformare la conoscenza in consapevolezza; mettere questi giovani nelle condizioni di concentrarsi e svolgere al meglio i propri compiti al fine di ottenere, con un reddito equo e una giusta remunerazione, anche la soddisfazione di essere e di fare. Un’informazione corretta e non di parte, com’è quella attuale nelle mani delle banche e delle multinazionali, che hanno nella ricerca della quantità la loro priorità e, con essa, lo sviluppo di un’agricoltura industrializzata che fa largo uso della meccanica, della chimica e dei prodotti farmaceutici. Tanto da essere, dopo i fossili, la seconda voce delle sofferenze del clima. Un tipo di agricoltura vittima e artefice insieme della situazione che la Fao, da tempo, ha dichiarato fallita. Poi, con qualche anno di ritardo, messa in discussione anche dall’ Unione europea con la scelta del biologico e il raggiungimento, nel 2030, dell’obiettivo del 30% della superficie per un’agricoltura che ha rispetto della terra e della sua fertilità naturale. Una formazione adeguata ai tempi e alla nuova strategia che – come prima si diceva – rimette al centro dello sviluppo l’agricoltura, consapevoli del crescente bisogno di cibo di fronte al crescente numero di bocche da sfamare, visto che il 2050 non è lontano e la previsione di 10 miliardi di persone una quasi certa realtà. Un’assistenza, non solo tecnica, ma che faciliti l’impegno del produttore/ tutore del territorio con un uno snellimento forte e immediato della burocrazia, la facilitazione per l’adesione ai bandi, la semplificazione dell’accesso al credito. Un’attenzione e più sostegno per avere i servizi indispensabili (scuole, strade, banda larga), che diventano stimoli e incentivi per lo sviluppo della multifunzionalità (agriturismo. Fattoria sociale, agro asilo, fattoria didattica, vendita diretta dei prodotti, tutela del territorio circostante per un mantenimento dell’ambiente e una cura del paesaggio). Interventi che, insieme ad altri, servono a convincere i giovani che fare agricoltura e vivere la campagna, è, oggi più che mai, utile; permette di avere, non solo, un giusto reddito, ma, anche, di sviluppare incontri in azienda e fuori, con la possibilità di un’immagine dell’azienda, data da uno o più prodotti. Permette, anche, di vivere e far vivere, con l’agricoltura biologica, la sostenibilità, sollievo per il clima malato e speranza di una sua possibile guarigione. Essere, in pratica, i protagonisti di un nuovo tipo di sviluppo e, come tale, del rilancio di un territorio. Essere, anche, parte di una comunità, che è tale perché dialoga, socializza, solidarizza, comunica, sogna, ha voglia di fare e di dare, e in più, torna ad avere la cognizione e considerazione del tempo e dello spazio, due valori che il neoliberismo imperante ha ridotto, se non annullato. Protagonisti, i giovani, di un’attività che dà, con l’oggi e la speranza nel domani, continuità al passato e torna a considerare il denaro un mezzo e non un fine – come accade con il sistema vigente nelle mani delle banche e delle multinazionali – cioè un dio onnipotente che depreda e distrugge non avendo il senso del limite e del finito.

di Pasquale Di Lena, ideatore e fondatore delle Città dell’Olio

FONTE: TEATRO NATUTALE