Circondato da sugherete, macchia mediterranea, oliveti e vigneti, irrorati da sorgenti, occupa la parte meridionale dell’altopiano basaltico di Abbasanta. Paulilatino, nel Medioevo centro principale del Guilcer, oggi popolato da duemila e 300 abitanti, offre scorci incontaminati ed è famoso per le testimonianze preistoriche: domus de Janas, dolmen, menhir e ben 110 siti nuragici, tra cui spicca, a quattro chilometri dal paese, il santuario di santa Cristina (XII-VIII secolo a.C.), la più perfetta e affascinante architettura nuragica sacra. Sorge in un parco con ulivi secolari, che prende nome dalla chiesetta campestre di santa Cristina, risalente all’XI secolo. Il tempio a pozzo, abbracciato da un recinto a forma di ‘serratura’, presenta vestibolo e scala coperti da architravi e una camera con volta a tholos. L’acqua arriva alla vasca da una falda perenne. Fuori dal recinto, la capanna delle riunioni e una decina di ambienti, forse alloggi di maestri di culto e botteghe del mercato. A 200 metri, si erge il nuraghe Santa Cristina, alto sei metri e largo 13, cui si addossano capanne abitate da età nuragica al Medioevo. Da non perdere anchei nuraghi Battizzonis con mastio e bastione a tre torri, e Lugherras, costruito tra Bronzo medio e finale, con torre centrale attorniata da un bastione trilobato, a sua volta circondato da un antemurale con quattro torri. Vicino una tomba di Giganti con rara stele quadrangolare. In epoca punico-romana sulla sommità del nuraghe fu edificato un tempio per Demetra e Kore. Dagli scavi vennero alla luce varie lucerne votive (lugherras), da cui il nome. Le più note tombe di Giganti sono quelle di Goronna, di cui una, lunga 25 metri, è tra le più grandi dell’Isola. Interessante è anche la tomba di Mura Cuada del tipo ‘a filari’. La risorsa principale di Paulilatino è l’allevamento, da cui derivano ottimi prodotti caseari: caciotta, dolce paulese e musinau (tipo di pecorino). I saperi antichi sono legati alla tessitura e al ‘fare’ il pane in casa, di tutti i giorni (su coccoi de tzicchi) e per le feste (su lazzaru). Ti documenterai sulle tradizioni locali nel palazzo nobiliare Atzori, che ospita il museo etnografico: la vita agropastorale della comunità è rappresentata da antichi arredi e attrezzi da lavoro. In epoca romana, cui risalgono le tombe di Muriscoa e i ruderi di Putzu ‘e Turru, il villaggio era Paulis Lactea. Il nome deriva dalla palude vicina al paese, prosciugata nel 1827, che in primavera si copriva di una patina lattiginosa, latina in logudorese. Casette basse in basalto nero, con portali ‘aragonesi’ e balconi di ferro battuto, fanno assumere contorni da fiaba al borgo. La piazza principale è su Pangulieri, ossia banchi del mercato o luogo in cui erano puniti i fuorilegge, dove si erge su Cantaru mannu, grande fontana alimentata dalla sorgente sa Bubulica. Molte altre sorgenti azionavano mulini fino a metà XX secolo. Al centro sorge la parrocchiale di san Teodoro del XVI secolo, in forme gotico-aragonesi, con prospetto arricchito da rosone e campanile a cipolla. Altri edifici di culto sono le seicentesche chiese delle Anime e di santa Maria Maddalena, per la quale si celebra la festa più sentita, a fine luglio, la cinquecentesca chiesa cimiteriale di san Sebastiano e Nostra Signora d’Itria, festeggiata il martedì dopo Pentecoste, con processione di abiti tradizionali e canti sacri, is goccius.
FONTE: SARDEGNA TURISMO